Editoriali | 21 gennaio 2020, 23:58

Trump rottama Greta ed il business dell’auto elettrica. Di Giuseppe Chiaradia*

Le parole di Trump a Davos suonano come una campana a morto per il business dell’auto elettrica: “Dobbiamo respingere i profeti di sventura” ed il riferimento è ovviamente a Greta ed al movimento politico mediatico che le sta dietro. Ed ha ancora aggiunto: “Dobbiamo dimenticare quelli che ieri ci prospettavano un futuro buio e cupo. Noi non lasceremo che succeda”. Trump ha poi dichiarato che gli Stati Uniti daranno il loro contributo alla sostenibilità piantando 1.000 miliardi di alberi entro il decennio. Ecco il vero ambientalismo: chi ama la Natura pianta gli alberi e difende le foreste, non va in giro a prospettare un “futuro buio e cupo” per fare affari. E quando Greta dice che sul clima “bisogna ascoltare i giovani e la scienza”, gli ricordiamo, che la scienza, nella fattispecie la chimica-fisica, che studia l’assorbimento delle radiazioni infrarosse da parte delle molecole poli-atomiche, dice che la CO2, presente in quantità infinitesime nell’aria, influenza in modo insignificante il clima terrestre. E per quanto riguarda i giovani, i nostri genitori ci avevano insegnato a seguire i consigli dei vecchi, che ritenevano più saggi, perché possedevano la conoscenza e l’esperienza che avevano accumulato nella loro esistenza.

Trump rottama Greta ed il business dell’auto elettrica. Di Giuseppe Chiaradia*

A questo punto il futuro dell’auto elettrica si riempie di foschi presagi. Il colpo di grazia potrebbe arrivare alle prossime elezioni presidenziali del 3 Novembre 2020. Se Trump sarà rieletto, gli USA usciranno definitivamente dagli accordi di Parigi sul clima del 2015 e l’auto elettrica farà la fine di precedenti tentativi di nuovi big business nell’ automotive che si sono poi sgonfiati come un soufflè, ricordiamoci delle auto a metano, oggi semi-clandestine, oppure l’ auto ad idrogeno, mai entrata in produzione. Se tutto andrà bene, l’auto elettrica troverà una sua collocazione di nicchia nelle ZTL delle grandi città abitate da quella borghesia green chic beneficiata dalla globalizzazione e dalle politiche pseudo ambientaliste. Per i possessori di auto diesel si mette bene: non saranno più necessaria la pagliacciata dei blocchi della circolazione dei diesel col pretesto farlocco delle PM10 per indurli a sostituire quel motore eccellente, gioiello dell’ingegno italiano, che si chiama diesel, con l’auto elettrica, la cui parte tecnologicamente avanzata è costruita in Cina o Giappone.

Wall Street sta abbandonando il business dell’elettrica

Un lettore ci ha segnalato una notizia che è passata quasi inosservata. Il sito Business Insider afferma che la banca Morgan Stanley ha declassato la Tesla a “sell”, cioè vendere. E più precisamente Tesla dovrebbe essere il terzo titolo da cui stare lontani. Fino ad oggi tutti i big players di Wall Street avevano avuto un atteggiamento molto condiscendente verso il titolo Tesla, sostenendolo contro gli attacchi dei ribassisti che sinora hanno perso un mucchio di dollari. Ma oggi sembra quel mondo stia abbandonando Egon Musk e si sia accodato ai ribassisti. Con una capitalizzazione di borsa superiore a quella di Ford e GM messi assieme e con un fatturato 12 volte inferiore, Musk rischia grosso. E negli USA dire Tesla o auto elettrica è praticamente la stessa cosa.

C’è un dato di fatto che può spiegare questa apparentemente inattesa uscita di Morgan Stanley. La California non ha rinnovato gli incentivi per l’auto elettrica e di conseguenza nel quarto trimestre 2019 le vendite sono crollate del 46,5% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Questo perché secondo la legge di quello Stato, l’incentivazione vale fino a 200.000 auto vendute, dopodichè scende progressivamente da 7500 euro fino ad azzerarsi entro 15 mesi. Ciò dimostra, fra l’altro, che il business dell’auto elettrica è estraneo alle logiche di mercato: per stare in piedi ha bisogno di generosi finanziamenti da parte dei governi. E per giustificare i finanziamenti di fronte all’opinione pubblica qualche furbacchione ha tirato fuori la mandrakata della CO2 che inquina. (In Italia sono stati persino più generosi della California: agli ecobonus, che valgono per sempre, hanno aggiunto anche l’ecomalus per molte auto termiche: cose da pazzi, si manda in malora l’industria nazionale per favorire le auto straniere nell’indifferenza generale)

La California e le aziende della Silicon Valley

La California è lo stato americano che più di tutti è stato in prima linea nel business dell’ambiente. E questo perchè l’auto elettrica si presta benissimo per l’applicazione dei sistemi automatizzati di guida, e costruirla è molto meno problematico rispetto ai motori termici. Può essere assemblata secondo le logiche organizzative di un televisore o di un telefonino. Quindi è inevitabile che i giganti del Web siano attratti da questo veicolo. Ed oggettivamente non gli si può loro dar torto. Ed è comprensibile che la California cerchi di sostenere le aziende del suo territorio.

Quindi non è casuale che proprio in California sia stato astutamente confezionato il dieselgate,e proprio da lì sia decollata come un razzo la campagna di criminalizzazione della CO2. Ma rispetto al 2015, l’anno del dieselgate, la situazione nella Silicon Valley è mutata. Il Dragone cinese dopo essersi inghiottito la produzione dei computer, sta dominando anche negli smartphone: le previsioni del 2019 danno per Apple una vendita di 40 milioni di telefonini, con un tracollo del 23% rispetto all’anno prima. Invece per Huaweei è il trionfo: 59 milioni di pezzi, con una crescita stratosferica del 50% rispetto all’anno prima. C’è poi la spinosa questione della rete di comunicazione ultra veloce 5G, dove i cinesi sono naturalmente all’avanguardia. E poi c’è Tik Tok…. Finora nel software gli americani erano dominatori assoluti. E questa App ha violato un settore che è sempre stato dominio esclusivo americano: l’informatica.

E’ probabile che di fronte alla minaccia cinese ed al rischio che crolli tutta la baracca, i manager della Silicon Valley siano ora concentrati nelle strategie di difesa dall’invadenza cinese e non abbiano più voglia di dedicare tempo e risorse per il giocattolo dell’auto elettrica. E forse hanno (finalmente) capito che alla fine l’unico che trarrà vantaggio da quel business è ancora lui: il Dragone, visto che le batterie arrivano tutte dall’Asia. (E per fortuna che c’è Trump, che sta difendendo con grinta e decisione Apple, Google e tutte le aziende dell’elettronica ed informatica americana).

Quindi tutto questo lascia pensare che la California non abbia più interesse a rinnovare gli incentivi per l’auto elettrica e questo è il meno. Servono poi enormi risorse in investimenti nelle infrastrutture per la ricarica delle auto elettriche: senza un’adeguata rete di paline di idonea potenza il veicolo elettrico non potrà mai diventare di massa. E per ottenere queste enormi risorse dai governi è necessario che i motori termici siano criminalizzati. Ma il Presidente Donald Trump l’ha detto a chiare lettere: dobbiamo respingere i profeti di sventura, quindi niente soldi per le paline elettriche. A questo punto per Tesla e l’auto elettrica in USA non c’è futuro.

Il 4 Novembre 2020, giorno dopo le elezioni presidenziali USA

Come detto, se Trump sarà rieletto, gli USA usciranno ufficialmente dagli accordi di Parigi sul clima del 2015. Finora nessuno dei Paesi firmatari ha rispettato i target di riduzione delle emissioni di CO2 sui quali si era impegnato. A cominciare dalla Germania della Klimat-Kanzlerin Merkel, la nazione che da anni è in prima fila nelle strombazzanti dichiarazioni di intenti sulla necessità di combattere le emissioni di CO2, ma che poi nella realtà dei fatti continua a mantenere più o meno gli stessi livelli di emissione. Da allora le emissioni globali di CO2 del pianeta hanno continuato a crescere in modo esponenziale (i dati sono stati riepilogati in un articolo precedente).

E' evidente che senza gli USA gli accordi di Parigi sono inutili, nemmeno come specchietto per le allodole. Come può l’Europa impegnarsi su una costosissima riconversione industriale, che può costare milioni di disoccupati, quando gli USA, ancor oggi la maggior potenza economica del mondo, continuano felicemente sulla strada del fossile? E quando gli altri Paesi continuano imperterriti ad aumentare i consumi di carbone e petrolio?.

Ci dobbiamo attendere che da oggi al 4 novembre 2020 la campagna di criminalizzazione della CO2 e di conseguenza del diesel sarà ancora più intensa. A marzo i parlamenti nazionali dovranno approvare il New Green Deal. E se non arrivano copiosi gli investimenti per le infrastrutture per la ricarica delle batterie, l’auto elettrica sarà rottamata. Assieme a Greta.

Il business dell’auto elettrica lo faranno i cinesi

La Cina è il primo produttore di carbone ed il maggior importatore di petrolio nel mondo. Il Dragone ha quindi tutto l’interesse a favorire l’auto elettrica, che sarà ricaricata con l’energia prodotta dalle centrali a carbone. Ed ecco perché i big players dell’automotive vogliono a tutti i costi entrare in questo business: già la Cina è la prima potenza industriale del mondo e fra pochi anni, con 1,2 miliardi di abitanti sempre più ricchi, sarà il primo mercato del mondo, soppiantando gli USA. E’ lì che guardano i big players dell’automotive. L’Europa sta diventando, ormai, un territorio deindustrializzato, abitato da consumatori sempre più poveri.

*Giuseppe Chiaradia, ingegnere chimico