Messaggi in bottiglia | 15 giugno 2022, 08:23

La transizione verde dell'automotive: un disastro o un affare? Di Marco Corrini*

Che la si prenda da una parte o dall'altra, la questione dell'elettrificazione dell'auto presenta problemi gravissimi: dall'occupazione alla sopravvivenza dell'indotto, al non senso di produrre per mercati extra Ue, ai problemi di rete e infrastrutture elettriche. E' pur vero che la tendenza dei giovani è di non aspirare all'auto di proprietà ma resta che la diffusione della mobilità individuale ha rappresentato il principale motore di crescita economica dall'inizio del 20mo secolo ad oggi. Come sarà compensata? Una riflessione in cui c'entrano anche...le scope

La transizione verde dell'automotive: un disastro o un affare? Di Marco Corrini*

L'Europa ha deciso la fine del motore endotermico per il 2035.

Questo vuol dire che ci saranno 140 milioni di vetture tradizionali circolanti, da sostituire nei prossimi 12 anni con un trend in accelerazione. Un affare potenziale da 4200 miliardi che non può lasciare indifferenti.

Eppure in questa vicenda di rose ce ne sono poche e abbondano le spine.

Cosa c'entra una scopa con l'automobile?

Negli anni ‘80, in occidente, si pensò che era ormai inutile produrre scope, perché il livello tecnologico raggiunto, era tale che c’erano prodotti molto più qualificati e premianti da proporre al mercato.

Le scope sono così state lasciate alle economie emergenti.

Purtroppo se si smette di fare scope, poi si smette anche di fare i piatti, i cucchiai, le scarpe, le magliette e i cappotti, si elimina il tessile, e poi si passa alla meccanica, cessando di fabbricare frigoriferi e lavatrici, si chiudono le acciaierie che in fondo qui da noi inquinano e non sono competitive, si trasformano le città industriali in enormi lunapark imperniati sul terziario, si fermano le centrali nucleari gettando alle ortiche un patrimonio di competenze unico al mondo, e infine si smette di produrre automobili, tanto si possono acquistare a miglior prezzo dall’estero, magari proprio da quell’oriente che nel frattempo è cresciuto in competenze e tecnologia al punto da diventarne quasi monopolista.

Così, a poco a poco, ci si ritrova relegati in un angolo di mondo, nel quale si scopre che la sola cosa che si è ancora in grado di produrre sono le scope.

Questo é proprio il nocciolo della questione: abbandoniamo una tecnologia in cui siamo leader mondiali, per abbracciarne un'altra che arriva da oriente, con tutti i problemi finanziari ed occupazionali che ne conseguono.

Già, l'occupazione.

Solo in Italia gli addetti del settore automotive sono 165mila compreso l'indotto. Di questi, oltre 60mila si trovano in Piemonte.

Il passaggio all'elettrico, sul piano industriale richiede circa 1/6 degli addetti rispetto all'endotermico, che mal contata significa una perdita di posti di lavoro di 140mila unità, delle quali 50mila solo in Piemonte.

Tutto questo senza considerare l'enorme perdita di know-how e potere contrattuale.

Frank Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, ha candidamente detto che non é vero che le produzioni di motori endotermici si fermeranno, perché le industrie potranno continuare a venderli in quei paesi nei quali le vetture a combustione interna potranno continuare a circolare.

Già, perché non é che tutto il mondo ha seguito la UE su questa strada, anzi, quasi tutti i paesi extra UE si sono ben guardati dall'imporre un simile vincolo, consapevoli del fatto che un parco auto completamente elettrico pone non pochi problemi di produzione e distribuzione energetica, e in definitiva infrastrutture forse insostenibili.

Tant'è, per Timmermans continueremo a produrre motori diesel e a scoppio per l'esportazione, e questa é una pia illusione perché in un mondo improntato alla competitività, si produce dove c'é il mercato, per cui, anche ammettendo che resisterà un importante mercato extra UE di auto endotermiche, le produzioni europee sono destinate a morire col loro indotto, e i dipendenti potranno andare a mangiare a casa di Timmermans.

La cruda realtà è che la transizione verso la mobilità elettrica decisa dall'Europa, è stata probabilmente avventata e presenta moltissimi problemi strutturali, che i governi e le imprese devono impegnarsi a superare.

Solo in Italia infatti, da qui al 2035, si dovrebbe programmare l’installazione di almeno 200.000 colonnine di ricarica rapida di ultima generazione da 200 kW, che allo stato attuale, hanno costi molto elevati, soprattutto per l’allaccio alla rete elettrica.

E’ un investimento di 100 miliardi sui quali il contributo governativo é determinante, e anche se sono spalmati su un periodo di 10 anni, rappresentano sempre un impegno di grande portata per le finanze pubbliche.

Servono inoltre investimenti strutturali per adeguare la rete elettrica alle nuove necessità e all’aumento di richiesta di potenza che ne seguirà (nodo davvero cruciale in un paese che pare voler puntare solo sulle rinnovabili).

Serve poi chiarezza sul trasporto merci, poiché i TIR non potranno certo viaggiare a batteria e senza un motore endotermico la sola soluzione disponibile è l’idrogeno (il cui ciclo di produzione ha peraltro rendimenti energetici fortemente negativi, almeno con la tecnologia attuale), per il quale ad oggi esiste un solo distributore in Italia locato a Bolzano.

A tutto questo, però, fa da contraltare la tendenza dei giovani d'oggi a considerare sempre meno strategica l'auto di proprietà in favore di formule a noleggio, o condivise, che fanno presumere una contrazione del mercato in volume nel futuro prossimo.

Insomma, transizione elettrica o no, la crisi del mercato dell'auto in Europa sembra comunque annunciata ed irreversibile, complice anche la politica vessatoria attuata dalle istituzioni, sopratutto italiane, nei confronti degli automobilisti, tesa solo a fare cassa.

Il problema é serissimo, perché a parte il contributo diretto allo sviluppo economico dato dall'industria automobilistica, va detto che la diffusione della mobilità individuale, é stato il principale motore di crescita economica dall'inizio del 20mo secolo ad oggi, e il suo rallentamento difficilmente potrà essere compensato dalle nuove tecnologie di comunicazione.

Detto questo, la transizione verde non puó certo essere definita ecologica perché lascia gli stessi elementi inquinanti della tecnologia endotermica, semplicemente presentandoli in altra forma e con altri materiali.

Posto peró che si superino i problemi strutturali e di disponibilità energetica, la trazione elettrica rappresenterà comunque un vantaggio sia sul piano del rendimento energetico che su quello della qualità dell'aria degli insediamenti urbani.

Il problema peró, é che si tratta di tecnologia di importazione.

Bisognerebbe investire questi 10 anni in ricerca di tecnologie alternativa che lascino valore (ed occupazione) sul nostro territorio.

Ad esempio si potrebbe testare batterie agli ioni di sodio invece del litio, evitando pericolose dipendenze di materie prime. Per fare ricerca peró, servono investimenti miliardari che l'industria non sembra propensa a fare.

*Marco Corrini, scrittore, analista di marketing