Messaggi in bottiglia | 31 luglio 2023, 09:20

Cosa c'entrano le mucche di Ermenegildo con la Borsa? Fantasia o realtà?

Un racconto, di fantasia, che narra di un allevatore senza grilli per la testa che ad una certa età, stanco del letame, decide di quotare la stalla in Borsa. Da quel momento le sue 100 mucche si trasformano in azioni che prendono vita propria, cambiano di valore e la stalla, del valore di 500mila euro, arriva ad una capitalizzazione di borsa di dieci milioni di euro, sul quale vengono poi costruiti altri 50 milioni di derivati strutturati: una montagna di carta. Le mucche continuano a produrre il latte facendo egregiamente il loro lavoro ma alla Borsa non importa affatto. Ormai le azioni della stalla sono del tutto svincolate dalla realtà e solo in mano agli speculatori. Non anticipiamo come va a finire ma...sicuri che sia solo fantasia?

Cosa c'entrano le mucche di Ermenegildo con la Borsa? Fantasia o realtà?

L'Italia era diventato un paese nelle mani delle teste di cactus, un manipolo di parassiti. Tutte le attività produttive di rilievo erano morte o delocalizzate all’estero e chi ancora disponeva di denaro cercava di emulare le teste di cactus della finanza speculando in borsa.

Ermenegildo Scorfano era uno dei pochissimi italiani risparmiato dalla crisi.

Ermenegildo era un allevatore senza grilli per la testa, lavorava per vivere e di euro, Titoli di Stato, banche e UE non gliene importava assolutamente nulla, a lui interessavano solo: la stalla e le sue 100 mucche, le quali, oltre a produrre una notevole quantità di letame puzzolente gli davano anche 600mila litri di ottimo latte ogni anno.

Ermenegildo tutto casa e stalla

Tutto il suo capitale era lì: tra stalla e mucche un valore di 500.000 euro o poco più.

Ermenegildo vendeva il suo latte a 40 centesimi al litro e quindi, escluso l'autoconsumo, ogni anno incassava 240 mila euro, ai quali si aggiungevano altri 100 mila euro dei vitellini, denaro che gli consentiva una vita dignitosa, malgrado la crisi in cui era piombato il paese.

Dopo 40 anni di questa vita tutta casa e lavoro, avara di ogni più piccola soddisfazione materiale, Ermenegildo si ruppe le scatole della puzza di letame. Desiderava avere qualche soldo in tasca, ma era troppo innamorato della sua vita e non voleva vendere tutto per ritirarsi: le mucche, in fondo, rendevano abbastanza, e ormai erano diventare di famiglia tanto che ogni mattina le chiamava tutte per nome.

La decisione di quotare la stalla in Borsa

Decise così di trasformare la sua stalla in una S.p.A. e quotarla in borsa.

Suddivise il capitale in 500mila azioni, ne collocò 240mila sul mercato a 1 euro ciascuna, tenendo per sè le restanti 260mila. In questo modo si mise in tasca 240mila euro mantenendo comunque il controllo dell’azienda e la maggioranza del capitale. Con i dividendi della metà dell'azienda più la pensione, avrebbe campato comunque decentemente, ma con molti meno problemi.

Il valore delle azioni non c'entra più nulla con la stalla

Ecco, in quel preciso momento preciso, quei suoi foglietti colorati, le azioni che aveva messo sul mercato, presero vita propria.

Il loro valore cambiò in continuazione a seconda se nelle sedute di borsa prevalevano le offerte di vendita o le richieste di acquisto e questo indipendentemente dal valore delle mucche e del latte prodotto, che rimase sempre lo stesso.

La variazione del prezzo delle azioni non dipendeva affatto dai bilanci dell’azienda di Ermenegildo e neppure dai suoi risultati operativi, ma era influenzata da ogni più piccolo peto.

Se ad esempio in Russia si trovava un nuovo giacimento di petrolio, il prezzo delle azioni saliva vertiginosamente, mentre se il Presidente Biden veniva colto da un attacco di diarrea e stava seduto sul cesso per un giorno intero, la quotazione crollava di colpo scatenando un’ondata di vendite al ribasso.

Cosa c’entravano le mucche di Ermenegildo Scorfano con la cacca liquida del presidente americano?

Assolutamente nulla!

Le mucche continuavano tranquillamente a produrre il loro latte facendo egregiamente il loro lavoro ma alla Borsa non fregava un fico secco.

Ormai le azioni della stalla di Scorfano erano svincolate dalla realtà ed in un contesto così surreale si prestavano al gioco degli speculatori che scambiandosi tra loro quantità anche minime di titoli, o con operazioni "Allo scoperto" ovvero senza possedere materialmente neppure una azione, riuscivano a farne abbassare o alzare il valore a proprio piacimento, guadagnando fiumi di denaro a spese dei piccoli investitori: i gonzi.

Dalle mucche, sane, ai derivati, tossici

Ma non fu tutto. Sui titoli delle 100 mucche di Ermenegildo vennero emessi altri titoli ancora più aleatori, basati sulla scommessa che il valore della produzione della Stalla Scorfano sarebbe cresciuto o calato, oppure che sarebbero nati 20 vitellini al mese, e altri titoli ancora che venivano emessi come garanzia nel caso in cui quelle scommesse si fossero rivelate fallaci.

Presto il mercato fu invaso da una serie incredibile di derivati strutturati, con al centro la stalla di Ermenegildo Scorfano e le sue 100 mucche: un diabolico meccanismo nel quale gli investitori si garantivano a vicenda e soprattutto garantivano le Banche che fungevano da intermediario e che in condizioni normali erano le sole a guadagnarci sempre e comunque.

Anche un idiota poteva facilmente capire che con un simile meccanismo la stalla da 100 mucche del valore di 500mila euro, sarebbe arrivata in breve tempo ad avere una capitalizzazione di borsa (il valore complessivo delle azioni sul mercato) di dieci milioni di euro, sul quale venivano poi costruiti altri 50 milioni di derivati strutturati, ma a Ermenegildo, che gestiva l’azienda, non gliene fregava un accidente perché continuava a produrre i suoi 600mila litri di latte all’anno e a distribuire agli azionisti il solito dividendo, del quale però a tutta questa massa di investitori non fregava assolutamente nulla, perché erano tutti interessati solo e unicamente alla pura speculazione finanziaria.

La finanza aveva quindi creato dal nulla una montagna di titoli di carta straccia del valore virtuale di 60 milioni di euro ma con un valore reale di 500mila euro o poco più, e su questa carta straccia misurava la forza della sua economia.

Un meccanismo tanto stupido quanto fragile.

Ermenegildo saluta le mucche e vende tutto

Ermenegildo era una persona semplice ma non era un idiota, lo comprese, e vendette le sue 260mila azioni a 5 milioni di euro investendoli subito in Titoli di Stato al 3%, e uscendo dalla stalla salutando le sue amate mucche una per una.

Per le mucche arriva il “manager”

Senza Ermegildo il CdA affidò la stalla a un manager, tale Dott. Bastiano Figlio di Trojka, che di mucche non ne capiva nulla.

Un bel giorno le mucche furono colpite da una malattia contagiosa inguaribile e furono abbattute tutte.

Senza mucche e senza latte, la stalla Scorfano fallì perdendo tutto il suo capitale di 500mila euro del quale si salvò solo il letame puzzolente: insomma le deiezioni, che valevano pochissimo.

Alla notizia del tracollo, in borsa si verificò un autentico terremoto, perché tutto il castello di carte da 60 milioni di euro, costruito su quelle mucche defunte crollò miseramente.

Il default fu talmente devastante da portare alcune banche sull’orlo del fallimento: i loro caveau erano stracolmi di titoli tossici basati sulle mucche che si erano trasformate in guano quasi privo di valore.

Meglio fare l'allevatore

A Ermenegildo Scorfano non poteva fregare di meno, ma anche se ormai benestante, aveva nostalgia della vita da allevatore.

Aveva ancora i 240mila euro liquidi incassati ati con la prima vendita delle azioni della stalla, trovò un altro terreno, con una stalla più piccola, ed acquistò 50 mucche tornando a fare ciò che aveva sempre fatto: il latte, mentre le più importanti Teste di Cactus della Nazione, e perfino lo Stato con tutti i suoi cittadini, sputarono sangue per anni per risanare l’enorme buco finanziario che si era aperto nell'economia del paese.

Marco Corrini, analista di marketing

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