Editoriali - 04 novembre 2025, 21:28

Riforma della giustizia: bisogna che tutto cambi affinché tutto resti uguale. Di Lorenza Morello*

La separazione delle carriere ha da sempre diviso il mondo politico e quello giuridico. Le posizioni emerse dopo l’approvazione della riforma del 2025 riflettono un confronto che dura da decenni e che ora, con la prospettiva del referendum confermativo, si sposterà anche sul piano dell’opinione pubblica

Riforma della giustizia: bisogna che tutto cambi affinché tutto resti uguale. Di Lorenza Morello*

Con la riforma del 2025, l’architettura del potere giudiziario italiano assume un volto inedito, ispirato a un principio di doppia autonomia. L’articolo 104 della Costituzione, nella nuova formulazione, stabilisce che la magistratura è “composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”, e che ciascun Consiglio Superiore opera in modo indipendente. Questo significa che, pur appartenendo a un unico ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, i magistrati giudicanti e requirenti seguiranno percorsi professionali separati, con proprie valutazioni, trasferimenti e progressioni di carriera.

Uno degli elementi più innovativi della riforma approvata il 30 ottobre 2025 è la nascita dell’Alta Corte disciplinare, istituita con il nuovo articolo 105 della Costituzione. Questo organo sostituirà, per quanto riguarda i magistrati ordinari, il sistema disciplinare gestito finora all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, introducendo un meccanismo più indipendente e strutturato.

L’Alta Corte disciplinare sarà composta da quindici giudici, scelti in modo da bilanciare competenza e autonomia. In particolare, tre saranno nominati dal Presidente della Repubblica tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di esercizio; altri tre saranno estratti a sorte da un elenco di professionisti con i medesimi requisiti, compilato dal Parlamento; infine, nove membri saranno magistrati: sei appartenenti alla carriera giudicante e tre alla carriera requirente, anch’essi selezionati per sorteggio tra coloro che abbiano almeno vent’anni di servizio e svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità.

L’organo eleggerà il proprio presidente tra i componenti di nomina o sorteggio parlamentare, e durerà in carica quattro anni, senza possibilità di rinnovo.

I sostenitori della riforma, tra cui una parte significativa del Governo e di alcune associazioni forensi, ritengono che la distinzione netta tra giudici e pubblici ministeri rafforzi la terzietà del giudice, eliminando il rischio di passaggi di carriera che, in passato, potevano generare la percezione di un sistema troppo unitario. La presenza di due Consigli Superiori separati, inoltre, viene vista come garanzia di una maggiore indipendenza reciproca. Secondo questa visione, la riforma non mina l’autonomia della magistratura, ma ne consolida l’equilibrio interno, assicurando che chi giudica non sia mai stato – né possa diventare – parte del potere requirente.

Dall’altra parte, le critiche provengono soprattutto da alcune correnti della magistratura e da giuristi che temono una frammentazione del potere giudiziario. La creazione di due carriere e due CSM, secondo i contrari, potrebbe accentuare la separazione funzionale al punto da ridurre il senso di appartenenza a un unico ordine giudiziario, come previsto dall’articolo 104 nella sua formulazione originaria. Un altro punto controverso riguarda la posizione del pubblico ministero: alcuni temono che, nel lungo periodo, una magistratura requirente troppo autonoma possa subire un eccessivo controllo da parte dell’esecutivo o trovarsi in posizione di minor forza rispetto a quella giudicante. Si tratta, in sintesi, di un confronto di visioni più che di dati tecnici, e sarà presumibilmente al centro della campagna referendaria nei prossimi mesi.

Gia’, poiché sebbene la legge costituzionale sia stata approvata definitivamente il 30 ottobre 2025, per entrare pienamente in applicazione, dovranno essere approvate entro un anno le leggi ordinarie che ne regolano i dettagli.

E poiché la riforma non è stata approvata con la maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere, potrà essere sottoposta a referendum confermativo ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione.

Ora il lettore si chiederà da che parte sta chi scrive. Ebbene, non si può sottacere quanto già detto in altre occasioni, ovvero che la prima riforma di cui la nostrana Magistratura necessiterebbe è ben lungi da quella in discussione. Per cambiare davvero il Paese e garantire a tutti una giustizia più giusta, infatti, la prima cosa sarebbe sancire la responsabilità dei magistrati.

Il tema della responsabilità dei magistrati (giudici e pubblici ministeri) impone una doverosa premessa. Quando dalla pubblica opinione e dalla stampa si parla genericamente di responsabilità dei giudici non si allude necessariamente alla responsabilità diretta del magistrato per atti e fatti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (con conseguente responsabilità in solido dello Stato) ma, più spesso, si allude alla possibilità di essere concretamente risarciti per i danni provocati da fatti o atti dei magistrati. Ciò che interessa al cittadino è infatti, soprattutto, di poter essere risarcito del danno subito, ma altresì che al magistrato sia inferta una sanzione. Se è così, è allora evidente che ciò a cui soprattutto occorre por mente e andrebbe riformato sono le condizioni e i termini ricorrendo i quali lo Stato è direttamente responsabile per gli atti e i fatti compiuti dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni con possibilità, ancorché parziale, di rivalsa. Le procedure per esercitare la rivalsa sono infatti oggi troppo complicate e spesso non vengono applicate, portando a percezioni di impunità. Ad esempio, in 31 anni, sono stati spesi oltre 874 milioni di euro per risarcire gli errori giudiziari, ma solo una singola azione di rivalsa è stata intrapresa.

In sintesi, l’idea di questa riforma, è che il governo abbia varato nuove norme per le toghe ma senza che la politica voglia intervenire concretamente per garantire giustizia ai cittadini danneggiati.

*Lorenza Morello, Giurista d’impresa, presidente nazionale APM

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