Alla riunione della NATO all’Aia del 25 giugno, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni firma l’impegno di aumentare le spese militari dell’Italia fino al 5% del PIL entro il 2035.
Lo stato dei conti pubblici italiani ― ahinoi poco brillante ― induce a fare qualche ipotesi su come si sosterranno queste spese, ma in quattrini sonanti e non con vaghe dichiarazioni di circostanza. Men che meno con ripetitivi dibattiti politici a favore o contro l’aumento, a seconda che parlino esponenti della maggioranza o dell’opposizione.
La NATO e la richiesta di Trump
La NATO (North Atlantic Treaty Organization) ― l’Alleanza militare fondata nel 1949, in cui sono presenti 30 stati europei (tra i quali l’Italia) più Canada e Stati Uniti ― nel 2014 stabilisce che i Paesi partecipanti prevedano di spendere per la difesa, ogni anno, almeno il 2% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL).
Donald Trump, eletto Presidente degli Stati Uniti, tenendo conto che gli Stati Uniti sostengono ogni anno spese militari per oltre 900 miliardi di dollari, chiede che la quota del 2% del PIL per la difesa salga al 5%. Vuole chiudere la lunga stagione nella quale la sicurezza generale per molti Paesi era assicurata soltanto dagli Stati Uniti. Anche gli Stati europei devono fare la loro parte.
Posizione dell’Italia e nuovo Accordo NATO
Per la Difesa in generale, l’Italia oggi spende circa l’1,50% del PIL.
Il nuovo Accordo NATO 2025 stabilisce che le spese militari aumentino dal 2% al 5% del PIL, come richiesto da Trump ― ma si sa che una richiesta del Presidente del Paese più potente del mondo è una pretesa ―. Il 5% è diviso in due: il 3,5% per spese militari “pure” (truppe, armamenti, munizioni, missioni internazionali, ecc.), e l’1,5% per spese per la sicurezza (reti di telecomunicazione terrestri e satellitari, infrastrutture strategiche: ferrovie, strade, ponti, porti e aeroporti, ecc.).
L’1,5% sarà facilmente raggiungibile, com’è dimostrato dalla fantasia dei governanti nell’affermare che già ora l’Italia non spende solo l’1,5 % del PIL ma il 2%. Dal punto di vista finanziario, la vera sfida riguarda il raggiungimento dell’obiettivo del 3,5% in spese militari “pure”, per le quali si dovranno trovare risorse aggiuntive nel bilancio dello Stato.
Le nuove e maggiori risorse occorrenti
Per tradurre le percentuali in importi numerici, partiamo dal valore che viene dato oggi “ufficialmente” al PIL italiano: 2.250 miliardi di euro. Ed infatti, nel bilancio dello Stato del 2025, ci sono circa 34 miliardi di euro di spese per la Difesa, pari all’1,5% del PIL come detto prima.
Dopo la firma del nuovo Accordo NATO, l’Osservatorio Mil€X ― l’Osservatorio sulle spese militari italiane ― ha stimato la maggior spesa militare, rapportandola all’evoluzione del PIL italiano dal 2025 al 2035, e limitandola alle spese militari “pure”: 3,5% del PIL.
Nel decennio 2025/2035, il PIL dovrebbe crescere da 2.250 miliardi di euro a 2.908 miliardi di euro. Dunque, nel 2035, il 3,5% delle spese militari dovrà essere di circa 107 miliardi di euro. La differenza tra spesa attuale di 34 miliardi e quella del 2035 sarà di circa 73 miliardi. Quindi, si dovranno trovare dai 6 agli 8 miliardi di euro ogni anno e per 10 anni da destinare, stabilmente, alle spese militari.
Secondo l’Accordo, ogni Stato è libero di adottare le iniziative che riterrà più opportune per raggiungere, nel decennio, il 3,5% delle spese militari. L’Accordo tuttavia prevede che ogni alleato produca un “report” annuale sui risultati conseguiti, con un primo esame intermedio stabilito al 2029.
Nuovo Accordo NATO ed equilibri di bilancio
Dato atto che, a fronte delle crisi di sicurezza che si stanno verificando a livello mondiale, quasi tutti i Paesi ― compresi quelli che fanno parte dell’Unione europea – Ue (al vertice, la Polonia con già il 4,1% del PIL) ― stanno aumentando le spese militari, l’Italia non può chiamarsi fuori. Gli aumenti per spese militari sottoscritti in sede NATO hanno però conseguenze non indifferenti sul bilancio dello Stato e sui suoi equilibri.
Secondo le stime dell’Osservatorio Mil€X, destinare il 3,5% del PIL alle spese militari “pure” significa sostenere, nel decennio 2025/2035, una spesa totale per esse di circa 700 miliardi di euro, 223 miliardi circa in più di quella che si sarebbe sostenuta con l’Accordo NATO precedente del 2% del PIL.
Stando poi ai calcoli dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (OCPI), il 3,5% del PIL per le spese militari sarebbe pari alla percentuale del PIL destinato a tutti i livelli di istruzione (prescolastica, primaria, secondaria e terziaria), percentuale che ― tra l’altro ― ha già subito pesanti ribassi negli ultimi anni. Il 3,5% per spese militari, potrebbe richiedere la sottrazione di risorse ad altri settori della spesa pubblica: la stessa istruzione, la sanità, la ricerca scientifica, ecc. I governanti dovranno, quindi, cambiare i metodi di distribuzione delle risorse, cercando equilibri diversi tra le spese nei bilanci.
Come coprire le maggiori spese militari?
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (in accordo con il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti), al termine della riunione dell’Aia ha ribadito che l’Italia non escluderà (come potrebbe) le spese militari dalle regole del Patto di Stabilità, cioè dal patto che disciplina la gestione economica degli Stati dell’Ue. E, sempre per rispettare queste regole, non potrà aumentare ulteriormente il suo debito pubblico, giunto ormai a 3.063,5 miliardi di euro.
Dunque, come trovare le coperture per le maggiori spese militari? Tagli di altre spese, o introduzione di nuove tasse. Nemmeno un accenno alla riduzione degli sprechi, enormi nella finanza pubblica. Tutte le classi politiche di ogni colore hanno sempre dimostrato e continuano a dimostrare un’avversione viscerale per quest’ultima scelta. Restano le altre due. Senza aumento del debito pubblico (non escludibile se ben camuffato), si ridurranno servizi e interventi pubblici, non rinunciando certo all’opzione dell’aumento delle tasse (anche qui ben camuffato) e all’ormai eterna non rivalutazione delle pensioni. D’altro canto, in economia i miracoli non sono possibili, chiunque governi.
Le percentuali decise all’Aia
Trump fa la richiesta/pretesa: ogni Paese della Nato dovrà aumentare le spese militari fino al 5% del PIL. La NATO ne discute e fissa le regole illustrate sopra. Un analista del dell’Osservatorio Mil€X tuttavia annota: “dietro al numero lanciato nel dibattito internazionale non c’è un ragionamento su una ristrutturazione delle forze armate in base al quale si rende necessaria una determinata cifra”. In altre parole, si stabiliscono budget senza alcuna programmazione. Però, nella gestione della cosa pubblica, questo non è un fatto eccezionale, ma una prassi ricorrente, giustificata dalle “più ampie visioni della politica” rispetto a quelle dei tecnici.
Quali saranno le spese militari che l’Italia farà con l’aumento? Ne vedremo la coerenza e gli obiettivi che si porranno.