Tavares, in un’intervista il 17 marzo scorso ha dichiarato che “stiamo investendo pesantemente nella mobilità pulita, in Italia. Ma all'inizio di questo processo la produzione è più costosa. I sussidi necessari per l'acquisto da parte dei consumatori italiani di automobili elettriche che produciamo in Italia sono stati annunciati molte volte, ma non sono stati ancora implementati”.
Quindi, secondo Tavares visto che con gli attuali incentivi sono pochi gli acquirenti di auto elettriche, il governo, cioè il contribuente italiano, dovrebbe incentivare ancor più generosamente l’ acquisto di auto elettriche costruite in gran parte fuori dall’Italia e tutte con batteria asiatica? Ma per chi ci ha preso? In realtà Tavares prende tempo, e aspetta che venga abolito il divieto di costruire motori termici nel 2035, a quel punto, come già scritto all’inizio, avrà trovato il pretesto per chiudere le attività italiane e accusare di questo la nuova Commissione Europea che uscirà dalle elezioni di giugno assieme al governo italiano.
Comunque, considerato che l’obiettivo dei francesi è quello di disfarsi degli stabilimenti italiani di Stellantis a causa dell’abbondanza di siti produttivi , la loro cessione alla nuova FIAT italiana non dovrebbe costituire un grosso problema. Anzi, sarebbe un modo vantaggioso per tagliare via stabilimenti inutili per i progetti futuri, visto che attualmente rappresentano solo un costo. Che la FIAT debba tornare italiana è un atto dovuto, perchè tutti i nuovi stabilimenti dopo Mirafiori sono stati costruiti coi soldi dei contribuenti italiani. L’Alfa Romeo è stata praticamente regalata alla FIAT da Prodi. Quindi si tratta della restituzione agli italiani di fabbriche pagate dagli italiani e che una cricca di affaristi senza scrupoli ha ceduto ad azionisti stranieri.
Già negli anni 30 del secolo scorso, si adottò, con successo, la stessa operazione. L’’IRI di Alberto Beneduce salvò l’ industria italiana dalla grave crisi seguita al tracollo di Wall Street del 1929 entrando con una quota maggioritaria nell’azionariato nei grandi gruppi industriali in difficoltà e gestendone il risanamento. Che l’operazione possa avere successo lo dimostra il fatto che le uniche grandi industrie tecnologicamente avanzate rimaste italiane sono l’Eni e la ex IRI Leonardo, mentre i grandi gruppi industriali del passato sono scomparsi o assorbiti da qualche multinazionale straniera.