Oggi più che mai credo sia di fondamentale importanza capire cosa vuol dire #lavoro.
La foto che accompagna riflessione potrebbe essere stata scattata (eccezion fatta per il traliccio) anche secoli fa, eppure l’ho scattata la scorsa settimana durante una trasferta di lavoro in un Paese estero. Quale paese non è importante, perché lo specificarlo darebbe subito spazio a chi volesse dire “Eh ma lì le condizioni sono così perché bla bla bla” e invece la mia analisi di oggi vuole essere non sul caso specifico ma più generale.
L’unica nota è che sia io che loro ci stavamo spostando per lavoro, in questo aprile 2023, ma io ero su una confortevole macchina con aria condizionata ed autista, e loro sotto la calura su un carro tirato da un asino.
Anche alla luce di tutto ciò c’è da chiedersi cosa vuol dire lavoro, nel 2023? E quale è il lavoro che va tutelato?
Ogni forma di lavoro, a prescindere. Direbbero alcuni.
Talatri farebbero invece da contraltare asserendo che ci sono forme di guadagno molto remunerative al giorno d’oggi (si pensi al caso degli #influencer) ma che non possono definirsi #lavoro.
C’è, ancora, da ultimo, chi si interroga se abbia ancora senso o meno lavorare. Visto che il mondo sta cambiano i propri parametri anche da questo punto di vista.
Per non parlare poi dei troppi casi sparsi per il mondo (e a cui nemmeno l’Italia è ahinoi più estranea) in cui il lavoro impoverisce chi lo svolge perché, dati alla mano, le spese sostenute per recarsi a lavoro sono superiori al ricavato. Quindi non solo non c’è guadagno, ma c’è addirittura una perdita.
Le colpe e le sperequazioni arrivano da lontano ed hanno radici anche culturali difficili da estirpare, e i temi sarebbero ancora molti altri (uno su tutti la disparità salariale tra uomo e donna o la piaga mondiale del lavoro minorile senza la quale la maggior parte delle multi nazionali non avrebbero potuto svilupparsi).
Quello che è certo è che finché la politica anziché lottare per temi quali la dignità del lavoro, il salario minimo, le condizioni eque tra i generi, la lotta allo sfruttamento (sia minorile che ogni altra forma) si batte per misure quali sussidi per chi non lavora (che sono necessari in molti casi ma che non possono essere la soluzione e soprattutto non possono essere a tempo indeterminato perché ciò falsa senza dubbio il mercato del lavoro e da ragione a coloro che dicono che misure fatte in questo modo altro non sono che l’istituzionalizzazione del voto di scambio) non arriverà mai a capo di nulla.
O, ancora, la sterile polemica nostrana odierna in cui alle “destre” di recente governo vengono maldestramente imputate colpe di un mercato del lavoro in seria difficoltà nonostante questo sia il risultato dei tanti anni di governi sinistri.
Ebbene, risolvere il problema non è certo cosa semplice, ma ci sono molte cose da fare e molte altre, tipo quelle appena elencate, da evitare.