Economia allo specchio | 29 maggio 2022, 20:41

Tassa sui rifiuti in mare, ci pensa la TARI rafforzata. Di Carlo Manacorda*

E' stata approvata recentemente la legge Salva Mare che premia il recupero dei rifiuti in mare (si badi che finora i pescatori che raccoglievano plastica o altri rifiuti con le loro reti erano costretti a ributtarli in acqua per non incorrere in sanzioni per traffico illecito di immondizia...) ma, poichè nella legge stessa si specifica che la questione non deve prevedere nuovi oneri per la finanza pubblica, come si fa a sostenerla economicamente? Semplice, i costi previsti dalla legge Salva Mare finiscono nella TARI. La quale quindi conterrà la “tassa sui rifiuti in mare”. Insomma, alla fine si finisce sempre per mettere le mani nelle tasche dei cittadini

Tassa sui rifiuti in mare, ci pensa la TARI rafforzata. Di Carlo Manacorda*

L’11 maggio, il Senato ha approvato la legge Salva Mare (Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare). La legge era stata presentata nel 2018 dall’allora Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, e approvata dalla Camera il 24 ottobre 2019. Poi ― ulteriore esempio della rapidità dei lavori del nostro Parlamento ― il risveglio dopo oltre due anni e l’approvazione definitiva. La legge è mirata a riempire il vuoto legislativo nella difesa degli ambienti cui è rivolta. Risolve anche casi ― come diremo dopo ―veramente incredibili nel nostro Paese, che si definisce la “Patria del Diritto”.

Obiettivo di fondo della legge Salva Mare è il risanamento dell’ambiente marino, dei laghi, dei fiumi e delle lagune. Per raggiungerlo, prevede di creare e rafforzare la cultura della salvaguardia di tali ambienti, anche mediante apposite campagne di sensibilizzazione e inserendo, tra gli insegnamenti scolastici obbligatori, quello di “educazione ambientale”. Devono cessare comportamenti che considerano mare, laghi, fiumi e lagune discariche per ogni genere di prodotti inquinanti. Questi prodotti devono essere recuperati e avviati al riciclo. Processi di trasformazione ne consentiranno il riutilizzo (economia circolare). Prima idea che viene in mente scorrendo le legge è che essa rappresenti una vera e propria “guerra alla plastica nelle acque”. A questo proposito, risolve una situazione a dir poco paradossale.

Finora i pescatori che raccoglievano plastica o altri rifiuti in mare, laghi, ecc. con le loro reti erano costretti a ributtarli in acqua per non incorrere in denunce e sanzioni per traffico illecito di immondizia.

La nuova legge stabilisce non solo che i rifiuti recuperati siano portati in apposite isole ecologiche per essere avviati al riciclo, ma anche che si prevedano misure premiali per il comandante del peschereccio che consegna i rifiuti recuperati in acqua. Inoltre, a chi opera nel commercio del pesce e che partecipa a campagne di pulizia o consegna di rifiuti accidentalmente pescati è attribuito un riconoscimento che attesta il rispetto dell’ambiente. Analogo riconoscimento può essere rilasciato dai comuni ai possessori di imbarcazioni che recuperino e conferiscano a terra rifiuti accidentalmente pescati o volontariamente raccolti.

Fin qui, tutto va bene. Ma, per fare le cose, ci vogliono anche i quattrini. Non basta approvare una legge. A questo punto, lo Stato ormai in bolletta mette le mani avanti e proclama: “Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Le cose si devono fare con le risorse (umane, strumentali e finanziarie) già esistenti. E allora, come si può rimediare qualche spicciolo che serva per la legge Salva Mare? Nessuna incertezza: mettiamo un po’ le mani nelle tasche dei cittadini ― atto sempre negato da tutti i politici come se tasse e loro aumenti fossero decisi dai marziani.

E così nasce una nuova tassa, già definita la “tassa sui rifiuti in mare”. Tutti i cittadini che pagano le tasse devono partecipare a sostenere i costi previsti dalla legge Salva Mare. Si stabilisce dunque che i costi di gestione dei rifiuti pescati siano coperti da una specifica componente aggiunta alla Tassa sui Rifiuti (TARI). Sarà l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) a stabilire come applicare la nuova TARI rafforzata.

Ma, in materia di TARI, la situazione è un po’ complicata. La TARI è sempre stata una tassa tra le più confuse da definire e da applicare. Ogni Comune stabilisce come applicarla, purché rispetti alcuni parametri fondamentali. In ogni caso, finora è stata commisurata, in qualche maniera, al costo che il Comune sostiene per la raccolta dei rifiuti.

Dal 1° gennaio 2021, sono cambiate (dovrebbero cambiare perché finora non c’è alcun segnale) le regole della TARI (decreto legislativo 116/2020). In base alle nuove regole, i comuni dovranno rivedere alcuni elementi non marginali per stabilire la TARI. Sembra dunque che la citata Arera dovrà intrecciare le nuove regole per la TARI ― che, tra l’altro derivano da direttive europee ― con la TARI sui rifiuti in mare.

Come si può concludere? La TARI di oggi viene contestata dai contribuenti che vedono le vie delle città costantemente invase da montagne di rifiuti non raccolti. In buona sostanza, la TARI non salva dai rifiuti le città. Molte volte però ingrassa le Società partecipate dai comuni adibite alla raccolta che fanno utili, beatamente dimenticandosi che la TARI dovrebbe coprire soltanto i costi della raccolta e non generare guadagni per gli azionisti, cioè i comuni. Parafrasando la definizione della legge, ora la TARI dovrà salvare dai rifiuti anche mare, laghi e fiumi. Tutto è possibile, ma restano forti dubbi che ciò avverrà.

*Carlo Manacorda, economista ed esperto di bilanci pubblici

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