Economia allo specchio | 10 maggio 2021, 21:57

Lo Stato non è Babbo Natale, dà (dice di dare ) con una mano, ma prende con l’altra: il caso delle tasse chiamate “accise”. Di Carlo Manacorda*

C'è una serie di tasse chiamate “accise” che sempre tasse sono ma appesantite dalle beffe ai danni dei cittadini. Si pagano magari senza saperlo e rendono allo Stato, complessivamente, una cinquantina di miliardi di euro all’anno. Le pagano tutti: disoccupati, cassa integrati o nullatenenti, gli stessi soggetti cui si sono promessi i bonus e i ristori. Da anni se ne chiede almeno una riduzione ma le promesse della politica sono sempre cadute nel nulla. Così, ad esempio, fra le 18 accise che paghiamo sulla benzina continuiamo a pagare la crisi di Suez del 1956 o i terremotati del Belice del 1968 o il contratto degli autoferrotranvieri del 2004. Per non parlare dell'Iva sulle accise. Ma non c'è da allarmarsi. In fin dei conti sono “accise”, mica “tasse”

Lo Stato non è Babbo Natale, dà (dice di dare ) con una mano, ma prende con l’altra: il caso delle tasse chiamate “accise”. Di Carlo Manacorda*

Decreti Ristori e Sostegni. Manovre economiche. Rottamazione delle cartelle. IMU e Tari condonate. Superbonus 110%. Tutti questi provvedimenti hanno indotto a pensare che lo Stato sia Babbo Natale che dà a piene mani senza prendersi nulla. In effetti, il totale dei regali è di 200 miliardi di euro mal contati (dati facendo debiti che pagheranno le generazioni future). D’altro canto, con la pandemia non si poteva fare diversamente.

Come in tutte le medaglie, c’è però un diritto e un rovescio. I 200 miliardi mostrano la faccia buona dello Stato, che non bada a spese pur di aiutare e far felici i cittadini. Magari poi i cittadini si lamentano perché i bonus, le casse integrazioni e via cantando non arrivano. Ma per questo lo Stato è sordo. “I bonus te li ho promessi. In questo momento, non ho i soldi per mantenere le promesse. Ma stai tranquillo e spera. Magari, alla prossima infornata di debito, ti darò qualcosa”.

C’è però la faccia cattiva dello Stato. Si nasconde dietro molti paraventi. Tra questi, ce n’è uno particolarmente odioso per il peso che rappresenta per le tasche dei cittadini e per le beffe che contiene. È composto da una serie di tasse definite “accise” (termine misterioso che deriva dal latino e significa “cadere sopra”). Sono, comunque, tasse che lo Stato “fa cadere”, cioè pagare, su un’infinità di beni di acquisto comune e continuativo: carburanti, energia elettrica e gas, birra, fiammiferi e tabacchi, oli lubrificanti.

Su ognuno di questi acquisti, lo Stato ci guadagna facendo pagare le “accise”. Sono tasse che si pagano magari senza saperlo, ma che rendono allo Stato, complessivamente, una cinquantina di miliardi di euro all’anno (ultimamente un po’ in diminuzione poiché, a causa dei lockdown, si consuma meno benzina) Queste tasse le pagano tutti: disoccupati, cassa integrati o nullatenenti, gli stessi soggetti cui si sono promessi i bonus e i ristori. Sono tasse bizzarre e delle quali si chiede, da anni, almeno una riduzione. In campagna elettorale, i partiti politici l’hanno spesso promesso, ma le promesse sono sempre cadute nel nulla. Parlare quindi un po’ di “accise” può essere d’interesse.

Intanto, perché continuare a chiamarle “accise” e non tasse se tasse sono? Forse per confondere un po’ il cittadino/contribuente? Ma, al di là delle questioni linguistiche, va detto che si tratta di tasse applicabili a pochi settori industriali (alcuni appartengono addirittura allo Stato: Eni, Enel). Quindi il Fisco controlla, facilmente, i quantitativi dei beni prodotti oppure importati dall’estero sui quali cadono le “accise” e ne verifica l’applicazione. Qui però ci sta la prima beffa. Sarebbero questi soggetti che, in prima battuta, dovrebbero pagare le “accise” allo Stato. Ma costoro non le pagano (tecnicamente, si chiama “sospensione d’imposta”). Le “accise” si pagheranno quando il prodotto è messo in vendita. Questi soggetti però includono, astutamente, l’accisa nel prezzo di vendita del bene. E quindi l’accisa la pagano, in definitiva, i cittadini quando fanno il pieno di benzina, pagano la bolletta della luce e del gas, bevono la birra o comperano sigarette o fiammiferi. In conclusione, sono i cittadini che pagano direttamente allo Stato una tassa che dovrebbero pagare altri.

A questo punto, si verifica la seconda beffa e riguarda l’IVA. L’IVA si paga sul valore complessivo di un bene. Poiché ― come detto prima ― coloro che vendono i prodotti sui quali si applica l’accisa la considerano come un costo per produrre il bene, applicano l’IVA sul totale del costo del bene più l’accisa. Questa situazione viene denunciata da anni dai consumatori, ma lo Stato se ne fa baffoni ben sapendo che gli importi che singolarmente ciascuno paga sono così modesti da non invogliare a fare una causa. Beatamente, fa pagare un tassa, l’IVA su un’altra tassa: l’accisa, mentre la legge lo vieterebbe. Però, a forza di importi modesti, lo Stato tira, complessivamente, 50 miliardi sicuri e subito. Quindi, non ha certo interesse a rinunciare a questi bei soldoni. “Ti do i bonus ma, piano piano, me li ripiglio con le accise”. Con un meccanismo così congegnato, anche se cala il prezzo del petrolio, non è facile stabilire quale era la quantità pagata dall’industriale al maggior prezzo precedente e quale al minore. Finisce che il prezzo della materia prima resta sempre, più o meno, il medesimo e resta uguale anche l’accisa. Direbbe Totò: “E io pago”.

Ciascuna accisa si paga con percentuali su ogni singolo bene (1 litro di benzina, di gasolio, il consumo di energia elettrica, ecc.). Il quadro di queste percentuali fa girare la testa. Basti ricordare che sulla benzina si pagano 18 accise, introdotte per fare cassa in un determinato momento. Andiamo dall’accisa introdotta per la crisi di Suez (1956), per il disastro del Vajont (1963), per le alluvioni di Firenze (1966) e Liguria e Toscana (2011), per i terremoti del Belice (1968), del Friuli (1976), dell’Irpinia (1980), dell’Aquila (2009) e dell’Emilia (2012), per le missioni ONU in Libano (1982) e Bosnia (1995), per il finanziamento del contratto degli autoferrotranvieri (2004) e per l’acquisto di autobus ecologici (2005). E poi per l’arrivo degli immigrati (2011), il finanziamento della cultura (2011) e 3 per finanziamenti vari. E siamo alla terza beffa. Un’accisa stabilita per finanziare un evento finito nel tempo dovrebbe essere cancellata. Anche questo lo stabilisce la legge. E, invece, resta. Nel contratto per il Governo Conte I, M5S e Lega si erano impegnati a cancellare almeno queste. Ma non è successo nulla. Non c’è dubbio che, se lo Stato rinunciasse alla sua ingordigia sulle accise, benzina, energia elettrica, gas, ecc. costerebbero assai meno ai cittadini.

Ora il Governo Draghi s’è impegnato, col Recovery Plan, in grandi riforme. Tra esse, Fisco e Pubblica Amministrazione. Il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, nelle riforme della Pubblica Amministrazione, ha previsto la ridefinizione della cosiddetta class action, cioè di quell’azione legale che potrebbero avviare più cittadini uniti contro la Pubblica Amministrazione per vedere riconosciuto un loro diritto. Per l’abolizione delle accise, verrebbe comoda questa strada. A meno che la riforma del Fisco cancelli, riduca o modifiche le accise. Staremo a vedere.

*Carlo Manacorda, economista ed esperto di bilanci pubblici

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