Editoriali - 06 gennaio 2021, 23:06

L’ Italia non ha più un’industria automobilistica nazionale

Con la nascita di Stellantis l’Italia non ha più un’industria automobilistica nazionale. La parte europea di FCA è stata assorbita in PSA e quel che rimane degli stabilimenti italiani farà parte di un impero multinazionale, la cui sede operativa sarà a Parigi, in Francia. Si chiude così il lungo declino della Fiat, in passato potente e temuta. I presagi sul futuro sono foschi. I ripetuti lockdown hanno dato una mazzata micidiale al settore auto, già in difficoltà da anni e l’auto elettrica, l’incosciente scommessa della Merkel, non sfonderà, come previsto dal numero uno di Toyota. E saranno i lavoratori italiani, compresi quelli delle aziende della componentistica, a pagare, come al solito, il costo dell’inevitabile riorganizzazione del nuovo gruppo e soprattutto della tremenda crisi che investirà l’Europa e che troverà nell’ automotive il suo epicentro

L’ Italia non ha più un’industria automobilistica nazionale

Il socio FCA dell’impero Stellantis regnerà sulle Americhe, mentre PSA sarà il dominus in Europa. Stellantis avrà dietro di sé ben 14 marchi. PSA porta in dote 11 stabilimenti in Europa, di cui 5 nella sola Francia, mentre FCA aggiunge 8 stabilimenti di cui 5 in Italia. E’ inevitabile che sarà necessaria una riorganizzazione del gruppo, considerato anche gli effetti devastanti del lockdown sul mercato dell’auto (nel 2020 le auto vendute sono crollate a -27,9%) e le drammatiche previsioni sul futuro di tutta l’economia europea.

E questa riorganizzazione, che si tradurrà in sfoltimento degli stabilimenti e riduzione del personale, la pagheranno soprattutto gli italiani, considerando che è stata stimata una capacità produttiva degli impianti di FCA pari a 1,5 milioni di auto, mentre nell’ultimo decennio, in Italia, non si è mai andati oltre le 742.642 prodotte nel 2017. Ovviamente, anche l’industria della componentistica, già in sofferenza, subirà l’ennesima botta. Vediamo meglio perché si tratta, in Europa, di una acquisizione e non di una fusione e le conseguenze di ciò.

Azionisti di maggioranza francesi e quartier generale a Parigi

La Exor, controllata da Elkann è l'azionista principale di Stellantis, con una quota del 14,4, mentre gli azionisti di provenienza PSA sono la famiglia Peugot col 7,2%, lo stato francese col 6,2% e il gruppo cinese Dongfeng col 5,6%. In totale i “francesi” hanno il 19%, cioè la maggioranza e saranno determinanti nell’indirizzo e nelle scelte del nuovo gruppo. Difatti il quartier generale del nuovo gruppo sarà a Parigi e l’amministratore delegato, il manager che quida operativamente il gruppo è Carlos Tavares, di provenienza PSA.

John Elkann è cittadino del mondo, non ha legami con l’Italia

La carica di Presidente di Stellantis è di John Elkann però la responsabilità operativa è di Tavares. E d’altra parte il mestiere di un finanziere è fare affari, non mettersi a guidare industrie. Quindi Elkann, un finanziere che guida la Exor, un gruppo multinazionale che ha sede in Olanda, come tutti i finanzieri di questo mondo si muove in una logica globale: il businessman non ha frontiere e va dove ritiene più conveniente fare business. Non c’è posto per sentimentalismi patriottici in quel mondo, ammesso che qualcuno li abbia. E se qualcuno li avesse, il signor Elkann non è fra quelli.

PSA è dominante in Europa

PSA, con 2.467.258 auto prodotte nel 2019, è il secondo costruttore europeo, dietro WV. Invece FCA con 946.571 unità, ne produce quasi un terzo in meno. Essendo entrambi produttori presenti in tutti i segmenti, quei numeri da soli indicano che in Europa PSA è più competitivo rispetto a FCA, la quale può vantare solo singole eccellenze di successo europeo, come le Jeep.

La piattaforma modulari sono di provenienza CMP

Che si tratti di un assorbimento e non di una di una fusione lo dimostra anche il fatto che la gran parte delle produzioni sarà realizzata basandosi su due piattaforme modulari, entrambe di provenienza PSA. Queste piattaforme, l’ultima delle quali si chiama CMP, permettono di realizzare diversi tipi di autovettura utilizzando la stessa base meccanica, modificando solo alcune parti, come la distanza fra le ruote. Gli ingombri nella piattaforma sono standardizzati e anche gli organi meccanici che devono essere introdotti devono essere standardizzati in funzione della piattaforma.

E’ ovvio che i fornitori di componentistica già PSA si troveranno in una posizione di vantaggio rispetto a quelli di FCA, perché già da anni hanno accumulato esperienza su queste strutture e soprattutto hanno stabilito rapporti di collaborazione con le industrie del gruppo che diventa poi difficile recedere. Soprattutto quando entrambi sono francesi, considerato l’orgoglio e lo spirito nazionalistico di quella nazione.

FCA si concentrerà nelle Americhe

Delle 4,6 milioni di autovetture che FCA ha prodotto nel mondo nel 2019, ben 3,1 milioni, oltre il 67% sono prodotte nelle Americhe, in particolare negli States, con 2,5 milioni di unità. E questo è stato possibile grazie a Mike Manley e ai suoi modelli di Jeep.

Invece PSA è praticamente assente negli USA e la sinergia, da questo punto di vista, è ottima: negli USA sarà la struttura e gli uomini di provenienza FCA a guidare il gruppo, Infatti Stellantis ha nominato Manley plenipotenziario nelle Americhe, mentre in Europa i manager PSA avranno mano libera per fare quello che ritengono necessario fare.

Lo sfruttamento del patrimonio tecnologico per i propri fini.

Ed è probabile che faranno quello che è sempre stato fatto quando un’industria italiana viene assorbita da un big player straniero: la spoliazione del patrimonio tecnologico per poi applicarlo secondo le necessità organizzative del big player, che vedono sempre penalizzati gli stabilimenti italiani.

In particolare verrà sfruttata la tradizionale capacità italiana di realizzare modelli per la fascia alta del mercato per cercare di creare, con Alfa e Maserati modelli competitivi con le tedesche BMW, AUDI e Daimler.

Tavares potrebbe cercare di rilanciare le piccole cilindrate di fascia A, anche lì un settore dove l’Italia è stata per decenni l’indiscussa protagonista, ma sarà molto difficile. Con le nuove norme sulle emissioni, realizzate allo scopo di favorire l’acquisto delle city cars elettriche, il costo di acquisto inevitabilmente salirà sino a non renderle conveniente, considerando che si tratta di utilitarie.

E’ più probabile che cercheranno di favorire la nascita di una 500 premium, come hanno fatto con la mini: piccola, ma accessoriata, stilosa ed ecofriendly (elettrica). Ma sarà necessariamente un’auto costosa, di nicchia, adatta per i benestanti metropolitani, ma non per produrre milioni di auto, come una volta.

Giuseppe Chiaradia

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