Con il voto di fiducia del Senato del 30 dicembre 2020, la legge di Bilancio dello Stato 2021 (un solo articolo, ma di 1.150 commi) è diventata operante. Fin dall’inizio, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro dell’economia Roberto Gualtieri l’hanno presentata come un ulteriore, sostanzioso contributo al rilancio dell’economia. Hanno detto che i 40 miliardi di spesa che prevede, aggiunti ai 110 miliardi deliberati con i precedenti decreti finanziari, costituiscono una somma imponente in grado di invertire la tendenza recessiva causata dalla pandemia.
La lettura della legge porta però a conclusioni diverse. Intanto, nell’insieme, si presenta come un’accozzaglia di norme senza indirizzi strategici. Molte disposizioni prevedono, esclusivamente, interventi di natura assistenziale. Sebbene necessari, per gli obiettivi che si prefiggono hanno dimensioni strutturali assolutamente insignificanti (la loro insufficienza economica è stata riconosciuta anche dal Governo e richiederà ulteriori stanziamenti). Certamente, non avranno ricadute sulla ripresa dell’economia. Ma la lettura della legge fa sorgere un’impressione ancora più ampia. E cioè che il Governo, mettendo su tutto il cappello del risanamento economico dopo gli effetti negativi causati da Covid-19 e avendo fatto tutto da solo (infatti non c’è stato alcun dibattito parlamentare e la legge è stata approvata con voto di fiducia alla Camera e al Senato), abbia perseguito, prevalentemente, interessi propri volti ad acquisire consenso. E, a questo scopo, anche inserendo norme non conformi alle regole che dovrebbero essere applicate al bilancio dello Stato.
La legge per fare il bilancio dello Stato stabilisce, con grande precisione, ciò che il bilancio deve contenere e ciò che non può contenere. Per il secondo caso: “Non può contenere interventi di natura localistica o microsettoriale”, cioè interventi troppo specifici e validi per casi ristretti. Orbene, la situazione di violazione di norme più appariscente a questo riguardo sono le disposizioni che distribuiscono contributi a pioggia (non a caso, anche i mezzi d’informazione hanno definito la legge di bilancio dello Stato 2021: “manovra delle mance” - La Stampa, 27.12.2020; “manovra dei mille bonus” - Il Sole 24 Ore, 31.12.2020).
Alcuni esempi, ma i casi sono ben di più. Ingresso gratuito ai musei di cittadini italiani residenti all’estero (4,5 milioni di spesa). “Bonus rubinetti”: 1.000 euro a chi sostituirà vasi sanitari di scarico o installerà rubinetti e miscelatori dell’acqua (20 milioni di spesa). Fondo per sostenere festival, cori, bande musicali e musica jazz (3 milioni). Riduzione delle tasse agli chef di 1 milione per 3 anni per l’acquisto di apparecchiature di ristorazione e per la partecipazione a corsi di aggiornamento. Stoccaggio privato di vini doc (10 milioni di spesa). “Bonus” a fondo perduto del 50% della diminuzione a chi riduce il canone d’affitto. Celebrazione ― nel triennio 2021/2023 e con costituzione di apposito Comitato per la sua gestione ― dell’8° centenario della nascita del presepe (che nacque in pochi giorni, per volontà di San Francesco, nel 1223 e chissà se il santo della povertà sottoscriverebbe questa spesa): 3,9 milioni di spesa. Sulla base dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), “voucher una tantum” di 50 euro per l’acquisto di occhiali (spesa complessiva, 15 milioni); analogo “voucher” per l’acquisto di un televisore (spesa complessiva, 20 milioni); sconto di 100 euro sugli abbonamenti a quotidiani o riviste (spesa complessiva, 75 milioni). E poi ancora ― in contrasto con la norma ricordata sul divieto di interventi di natura localistica ― agevolazioni numerose e di varia natura alle regioni del sud Italia o specifiche su città, aree o avvenimenti particolari. Non sfugge come buona parte di queste spese rivelino interessi clientelari riguardanti l’area elettorale.
La legge di bilancio 2021 annega tutti questi microinterventi nel grande calderone del disavanzo pubblico, ovviamente facendolo crescere. E, al proposito, si rileva un altro vistoso stravolgimento delle norme contabili. Queste ― ma anche i principi della buona amministrazione ― imporrebbero una rigorosa ricerca nell’equilibrio tra entrate sicure e spese che si vogliono fare con il bilancio. In altre parole, quand’anche si debbano fare debiti, li si facciano per spese giustificate o giustificabili. Il Governo Conte ― essendo stati sospesi i vincoli europei al riguardo ― s’è lanciato in una corsa sfrenata a fare debiti, tutti contrabbandati come necessari per combattere gli effetti recessivi causati da Covid-19. In soldoni, il bilancio all’esame dice che, nel 2021, l’Italia farà debiti, cioè ricorrerà a prestiti, per 563 miliardi (oltre il 50% dell’intero movimento di bilancio di 1.100,1 miliardi). Ora è pur vero che, di questi, 287 miliardi serviranno per rimborsare titoli del debito pubblico che scadranno nel 2021, ma è altrettanto vero che le spese occorrenti per garantire l’ordinario funzionamento della macchina statale nel 2021, con l’aggiunta delle molte “spesucce” che piacciono al Governo Conte, superano le entrate che lo Stato incasserà nello stesso anno di circa 276 miliardi.
In sintesi, si fa debito per rimborsare i debiti passati e si fa debito per poter funzionare. In ogni caso, la si giri come si vuole, questi 563 miliardi servono tutti. Se poi si va a vedere nel bilancio se il Governo intenda fare economie nelle spese statali (la famosa spending review), risulta che s’impegna a farle, ma solo a partire dal 2023 e per la modesta somma di 350 milioni. Lo stesso importo dovranno economizzare Regioni, Province e Comuni, sempre a partire dal 2023. E c’è di più. Attaccandosi a Covid-19, si vuole giustificare un’altra forzatura della legge di bilancio. Pur di far promesse, circa 2 miliardi di spesa si mettono già a carico dei fondi che dovrebbero arrivare dall’Europa per il “Next Generation EU” (Recovery fund), ben sapendo che sono ancora di là da venire.
In questa girandola di miliardi già deliberati, da deliberare e che si spostano, come nel “gioco delle tre carte”, da un decreto all’altro, c’è il timore che non si sappia neppure più qual è e a che importo arriverà il debito dello Stato, non sulla carta e per l’importo scritto nel bilancio (tutt’altro che certo) ma in concreto. Se ne è al corrente, sarebbe utile ― in applicazione del principio della trasparenza ― che il Ministro dell’economia Gualtieri lo svelasse a tutti i cittadini. Se non lui, almeno la Corte dei conti quando controllerà la legge di bilancio dello Stato 2021.