Editoriali - 25 giugno 2020, 15:50

La moda torinese ha fatto la storia dell' “Italian Fashion”. Di Paolo Turati*

Fino agli anni '80 Torino e il Piemonte competeva con Milano e Parigi nel settore della moda con eccellenze quali il Gft e la Miroglio che rappresentavano le due realtà più internazionalizzate d'Europa. Gft aveva stretto accordi con i grandi nomi: Armani, Dior, Valentino, Ungaro e aveva concretizzato per primo la realizzazione di modelli sartoriali in serie. Poi, anche nel mondo della moda, al genio si è sostituita la finanza ed è stato tutto diverso

La moda torinese ha fatto la storia dell' “Italian Fashion”. Di Paolo Turati*

Non sono trascorsi moltissimi anni dal passaggio del testimone a Milano. Fino agli Anni Ottanta erano Torino ed il Piemonte a dominare nel settore della Moda. Per certi versi, la Capitale subalpina riusciva quasi a competere con Parigi.

E non parliamo solo dell’epopea in cui il GFT a Torino e la Miroglio ad Alba rappresentavano le due realtà europee più importanti ed internazionalizzate. Pare che la prima donna ad indossare un paio di pantaloni in pubblico, un modello che il sarto parigino Paul Poiret aveva proposto nel Padiglione della Moda durante l’Esposizione di quell’anno, sia stata, nel 1911 e con debito strascico di critiche, proprio una signora torinese.

Già dalla fine dell’800 si era sviluppata a Torino l’industria della Moda ma è nel 1935, con l’istituzione della sede dell’Ente Nazionale della Moda, e poi nel 1950 con la nascita del Samia, il primo salone della moda italiana che proseguì con successo fino al 1977, che la situazione si andò consolidando. Certamente il Gruppo Finanziario Tessile fondato dai fratelli biellesi Rivetti (Silvio, Piergiorgio e Franco) è stato il modello torinese più significativo nel campo della Moda.

Con sede in Corso Emilia (nell’immagine la ristrutturazione finale, nella denominazione di “Casa Aurora”, su Progetto di Aldo Rossi) e stabilimento principale a Settimo torinese, il GFT aveva concretizzato per primo la realizzazione di modelli sartoriali in serie. Con lungimiranza era stato percepito uno dei must della civiltà dei consumi: coniugare la qualità con la distribuzione. Proprio per questo l’azienda (che al suo apice contava 8.000 impiegati, 35 società, 18 stabilimenti delle quali 5 all’estero, la rete dei negozi Marus ed un gran numero di marchi come Facis, Cori, Redi) era stata un’antesignana dell’utilizzo di testimonials (specie nella moda femminile), come la mannequin (termine che allora si usava al posto di “top model”) Capucine e l’attrice Catherine Spaak e aveva stretto accordi esclusivi di produzione coi grandi marchi dell’epoca (in realtà anche di oggi), come Armani, Dior, Valentino, Ungaro.

Finita ingloriosamente ad inizio Anni Novanta, nonostante un tentativo senza esito di accordo con la Marzotto, dopo essere finito sotto il controllo della Finanziaria Hdp della famiglia Romiti l’esperienza del GFT, il settore della Moda torinese ha dovuto reinventarsi.

Cosa non facile ma, sotto aspetti non coincidenti ma simili, l’esperienza della Robe di Kappa di Marco Boglione ha rappresentato e rappresenta tuttora un modello di grande successo nel campo della Moda sportiva a livello mondiale della “Torino che veste”!

*Paolo Turati, doc. Economia degli Investimenti

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