6 aprile 2020 – Il Presidente del Consiglio dei Ministri Conte ― assistito dai Ministri dell’economia Gualtieri, dello Sviluppo economico Patuanelli e dell’Istruzione Azzolina ―, nella prediletta Conferenza stampa serale proclama: “Con il decreto appena approvato diamo liquidità immediata per 400 miliardi di euro alle nostre imprese. E' una potenza di fuoco che io non ricordo altre volte". Ricorda che altri 350 miliardi sono già stati attivati con il decreto “Cura Italia” del 17 marzo 2020. E conclude: “E’ stato varato un bazooka per la liquidità delle imprese di 750 miliardi”.
Occorre dire che, proprio in quei giorni, Conte aveva lanciato una vera sfida all’Unione europea. Sosteneva con forza che era ora di finirla con le ferree regole economiche europee. In un momento di enormi difficoltà degli Stati delle quali non avevano colpa (epidemia Covid-19), l’Europa doveva dare prova (finalmente) di solidarietà. Doveva intervenire subito a sostegno degli Stati emettendo obbligazioni a suo carico (Eurobond/Coronabond) per importi sufficienti a far fronte alle difficoltà. Il ricavato doveva essere distribuito agli Stati senza oneri. Doveva poi applicare, tempestivamente, le misure da 100 miliardi elaborate dalla Commissione europea per creare una “cassa integrazione europea per salvare posti di lavoro”. Quanto al Mes (Meccanismo europeo di stabilità) ― lo strumento diabolico previsto dalle leggi europee che ci può aiutare ma con prezzi pesanti da pagare ― affermava che non veniva preso assolutamente in considerazione. E chiudeva: “L’Europa agisca o faremo da soli”.
Come si sa, le vicende europee non sono andate nella direzione voluta da Conte. L’Europa ― per bocca dei paesi economicamente più forti (Olanda, Germania, Finlandia, paesi del nord Europa) ― ha fatto capire a Conte, e a tutti gli altri governi, che non distribuisce “pasti gratis” neppure in via straordinaria nei tempi di Coronavirus. Gli aiuti li può dare, ma non a fondo perduto. Chi li chiede, li paga. Poi si è riservata di prendere decisioni su quali aiuti concedere agli Stati e con quali modalità, decisioni ad oggi ancora da definire. All’Italia non è quindi restato ― almeno per ora ― che attaccarsi alla Banca Centrale Europea che ci assicura un po’ di soldini liquidi comprando miliardi di titoli del nostro debito pubblico. Che però sempre debito pubblico è, che andrà rimborsato alle scadenze (la Corte Costituzionale tedesca ha però sollevato dubbi sulla legittimità di questo meccanismo. Se sarà così, per l’Italia sarebbe un disastro nel raccattare prestiti).
Essendo cambiato totalmente il quadro immaginato, Conte si è trovato in un vicolo cieco. I proclami sulla “potenza di fuoco”, e soprattutto sulle promesse di interventi che conteneva, sono rimasti senza coperture finanziarie. Il Governo ha coinvolto allora Cassa Depositi e Prestiti e Sace ― due potenti società a partecipazione statale ― affinché dessero loro le garanzie per gli aiuti previsti nei decreti della “potenza di fuoco”. Anche questa strada presenta però un percorso complesso e tutto in salita.
Dunque, la “potenza di fuoco” ha perso vigore. Ha prodotto soltanto qualche fiammata di paglia. L’immediata liquidità garantita a imprese, lavoratori e famiglie segna il passo. Quando c’è, si presenta per lo più in episodi sporadici, scoordinati e confusi. Sono quindi cominciate le proteste per i ritardi nell’erogazione delle casse integrazioni straordinarie, dei 600 euro mensili per i lavoratori autonomi e le altre categorie di lavoratori, e di tutte le forme di prestiti alle imprese, indispensabili per far ripartire il sistema economico-produttivo. Com’è naturale, il Governo Conte si difende. Gli interventi tardano per inefficienze e burocratizzazione dei soggetti (INPS, Regioni) che dovrebbero provvedere per l’attuazione di alcuni. Responsabili dei ritardi negli aiuti alle imprese sono soprattutto le banche. Nonostante i ripetuti ammonimenti a fare in fretta mandati loro da più parti, lesinano i prestiti (dimenticando che le banche, giustamente, concedono prestiti solo se ci sono tutte le garanzie pubbliche e private previste, che forse in questo caso mancano ancora). Tutto questo può essere vero.
C’è però una causa dei ritardi che non viene mai nominata (forse si sperava che la risolvesse l’Europa). Benché abbia promesso mari e monti, lo Stato è senza quattrini. Non avendo quattrini, non può pagare. Punto. Senza quindi scaricare responsabilità su altri, Conte avrebbe il dovere di ammettere pubblicamente che le casse dello Stato sono totalmente vuote. Infatti, per tirare su qualche soldino e in attesa degli aiuti europei se e quando verranno, il Governo Conte ha percorso la strada più facile: aumento del debito pubblico di 25 miliardi di euro. Ma, anche così, la liquidità non sarà immediata poiché bisogna emettere titoli di Stato e venderli sui mercati finanziari. Solo con gli incassi che verranno da questa vendita sarà forse pagato un po’ di quanto è stato promesso a lavoratori, famiglie e imprese.
Ora il Governo Conte sta giocando un ulteriore round (decreto maggio) della complicata vicenda degli aiuti da dare a lavoratori, famiglie e imprese in elevate condizioni di precarietà a causa di Covid-19. Fa nuove promesse, con una spesa di altri 55 miliardi di euro. Senza tanti bluff, Conte dica che anche per questo decreto mancano i soldi. Per trovarli, il Ministro Gualtieri non esclude il ricorso al tanto deprecato Mes, chiedendo prestiti all’Europa per l’importo consentito (36 miliardi). Per coprire la differenza, si farà altro debito pubblico (già oggi di 2.500 miliardi di euro, ma che così aumenterà non poco).
In sole quattro settimane, della “potenza di fuoco” non è rimasta, come già detto, che qualche fiammata di paglia. Di questa potenza, Conte non ha più parlato. Poiché però i suoi decreti sono più orientati all’assistenzialismo che al rilancio del sistema produttivo che creerebbe ricchezza, è forte il timore che, alla fine, siano soprattutto le tasche dei cittadini (persone fisiche e imprese) a doverli finanziare con tasse di ogni genere, compresa quella “patrimoniale” che Conte spergiura di non introdurre.