Editoriali - 26 marzo 2020, 11:39

Coronavirus mette in quarantena anche il Patto di Stabilità. Di Carlo Manacorda*

Da qualche anno, alcuni Governi di Paesi dell’Unione Europea hanno segnalato l’esigenza di rendere meno rigide le regole del Patto di Stabilità. Nulla è avvenuto. Anzi, il Patto è diventato sempre più severo. Ora, il Coronavirus ha risolto il problema. L’Unione Europea ha sospeso ― non si sa per quanto tempo ― il Patto di Stabilità. Usando il triste linguaggio di questi giorni, si può dire che il Coronavirus ha messo in quarantena il Patto di Stabilità. Questa decisione suscita però qualche riflessione. Con un'avvertenza preliminare: ciò che è stato progressivamente disposto relativamente al Patto di Stabilità è sfuggito ai cittadini non addetti ai lavori. Tutto è avvenuto per volere di poche persone “illuminate”. Ed è ora di cambiare

Coronavirus mette in quarantena anche il Patto di Stabilità. Di Carlo Manacorda*

Storicamente, il Patto di Stabilità nasce con il Trattato di Maastricht (1992). L’Unione Europea vuole arrivare ad avere una moneta unica. Per garantire il mantenimento del valore di questa moneta, occorre che i bilanci di tutti gli Stati dell’Unione rispettino regole comuni. Quindi, prendendo come riferimento la ricchezza complessiva che un Paese produce in un anno (PIL), questi bilanci devono applicare due regole, definite “criteri di convergenza”: nel rapporto tra entrate e spese, le spese non devono superare il 3% del PIL dello Stato (“deficit” di bilancio); il debito dello Stato non può superare il 60% del suo PIL.

Nel 1997, il Patto di Stabilità viene rafforzato e definito “Patto di Stabilità e Crescita”. Le regole diventano ancora più severe fino a stabilire l’obbligo che, se il debito di uno Stato supera il 60% del suo PIL, lo Stato deve procedere a riduzioni graduali della differenza fino a scendere al 60% (almeno 1/20 all’anno). Infine, nel 2012, c’è l’ultima tappa del rigore. Si approva il “fiscal compact”. Si stabilisce, cioè, che il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Violazioni di questa regola sono ammesse solo per circostanze eccezionali. Superfluo osservare che tutto quanto è stato progressivamente disposto relativamente al Patto di Stabilità è sfuggito ai cittadini non addetti ai lavori. Tutto è avvenuto per volere di poche persone “illuminate”.

La decisione presa dall’Europa in conseguenza dell’epidemia di Coronavirus congela, temporaneamente, tutti questi vincoli. Ogni Stato, per fronteggiare l’epidemia e rilanciare la sua economia, non è più tenuto a rispettare i criteri di convergenza. Potrà impegnare tutte le risorse che riterrà occorrenti a questi scopi, anche aumentando i propri debiti. La stessa Unione aiuterà gli Stati in questi programmi mettendo a loro disposizione somme ingenti. Chiaramente, nel gravissimo momento che viviamo, sono queste le sole decisioni che si potevano prendere.

Resta però una domanda. Ci voleva un’epidemia per indurre l’Unione Europea a prendere decisioni in merito al Patto di Stabilità? Considerando che alcuni già lo segnalavano da tempo, non si poteva fare qualcosa anche prima? Infatti, dopo il 1992, le condizioni del mondo ― e quindi anche dell’Europa ― sono radicalmente mutate. Si sono verificati fenomeni nuovi e di immensa portata: imponenti trasmigrazioni di popoli, nascita di nuovi e potenti soggetti, capaci di intervenire sulle economie dei Paesi (Cina), esigenza degli Stati di mantenere, in caso di tentativi aggressivi di soggetti stranieri, il dominio in settori strategici delle proprie economie. Inutile a dirsi che questi fatti pesano, e non poco, sui bilanci degli Stati. Ma, evidentemente, tutto questo non aveva importanza per l’Europa.

La verità è che l’Unione Europea non è mai stata un’unione politica, ma soltanto una cooperazione tra Stati basata su accordi riguardanti settori specifici: circolazione delle merci, dei servizi, dei cittadini, mantenimento della moneta unica. Di conseguenza, non ha mai sviluppato le politiche tipiche di uno Stato che pensa a un governo unitario di tutti i settori e di tutte le esigenze. Che esistano Paesi dell’Unione che applicano tasse minori di altri che fanno parte sempre dell’Unione (ad esempio, Olanda che attrae, nel suo territorio, aziende della stessa Unione che vogliono pagare meno tasse) non fa certo pensare a una politica europea omogenea in materia di tasse. Per non dire della politica sanitaria dell’Unione, totalmente inesistente anche di fronte a un dramma come quello del Coronavirus. O della difesa, dove ogni Stato decide la propria politica.

Ciò che molti cittadini pensano è che l’Unione Europea sia, per lo più, una gigantesca e costosissima costruzione burocratica, assolutamente lontana dalle realtà (fa regole assurde sulla lunghezza degli zucchini o sulle dimensioni delle vongole). Che tuttavia, ogni tanto, rivendica prepotentemente un suo ruolo, applaudita soltanto dai governanti (magari anche nostrani), evidentemente beneficiati da essa o in attesa di suoi benefici.

In conclusione, la gestione di uno Stato, e quindi anche dell’Unione Europea, non si può basare su alcune immutabili e astratte regole matematiche, che non si adattano alle reali esigenze dei Paesi e dei cittadini, ed in più applicate con un’ostinazione senza pari. Sovente, le conseguenze dell’ostinazione le pagano i Paesi più deboli (Grecia, Italia che ha subito il peso dell’immigrazione). Non quelli che comandano in Europa, che talora si son fatti baffoni delle regole, ben sapendo che a loro non sarebbero state applicate. D’altro canto è noto che la politica economica dell’Europa è dettata da alcuni Stati che si sono sempre ritenuti i più forti (Germania, Francia, Stati del nord Europa).

Dopo l’epidemia del Coronavirus nascerà una nuova Europa? Per competere a livello mondiale, l’Unione Europea ci deve essere. Oggi uno Stato da solo può fare poco, se non nulla. Ma si spera che sia un’Unione Europea dei popoli e non soltanto dei burocrati e di pochi politici che si considerano “superiori”. Quanto all’Italia, potrà farsi sentire se, con la sospensione del Patto di Stabilità, userà le risorse che metterà in campo per un effettivo rilancio dell’economia e non per distribuire qualche mancetta elettorale.

*Carlo Manacorda, docente di Economia Pubblica ed esperto di bilanci dello Stato

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