Editoriali - 20 gennaio 2020, 17:24

Stagione di neve: quali marche di sci si ritrova l'Italia sulle piste all'inizio del XXI secolo? Di Paolo Turati*

La stagione invernale porta i ricordi di quando c'erano moltissime marche di sci (nientemeno che Lamborghini, fra le altre). Il racconto, tra amarcord ed economia, di chi ha gareggiato per anni ai massimi livelli nello sci alpino, quando “c'erano ai piedi degli atleti almeno tanti sci di marca italiana quanti stranieri” .

Stagione di neve: quali marche di sci si ritrova l'Italia sulle piste all'inizio del XXI secolo? Di Paolo Turati*

Ineludibile un “the way we were” per uno che, come il sottoscritto, ha gareggiato nella sua età più verde a livello nazionale e internazionale per vent’anni nello Sci Alpino. Sì, perché allora era diverso: c’erano moltissime marche di sci, di cui numerose le italiane.

Il primo sci che mi fu regalato dai miei di cui ho contezza era di marca nientemeno che Lamborghini( sì quella della Miura carrozzata Bertone) e si chiamava Levriere. Invero, a quei tempi ero esterofilo e quel regalo avrei preferito si fosse concretizzato nel famoso Rossignol Strato, non di meno fu un discreto compagno di discese. Si spaccò di netto su di un masso nascosto dalla neve non battuta, che era la regola in quei tempi in cui tutti eravamo diventati bravissimi a “serpentinare” attorno alle gobbe che oggi non esistono più grazie alla fresatura continua da parte di gatti delle nevi.

Mio padre continuò a tenere la barra sul “comprare italiano” e mi ritrovai ai piedi un Sideral Persenico, Ditta fondata a Chiavenna nel 1908 da Raimondo Persenico e che fino a fine Anni Sessanta – suoi atleti di punta erano stati Erminio Sertorelli, campione olimpico a Lake Placid nel 1932, e Giacinto Sertorelli, nel 1936 argento ai Mondiali di Chamonix- aveva prodotto artigianalmente sci anche di gran livello agonistico come il Derby 020, che prese poi la denominazione Spalding-Persenico e infine solo Spalding quando fu inserita nell’omonimo gruppo internazionale. Era lo sci da Slalom ( allora si chiamava Slalom speciale) di Gustavo Thoeni e non funzionava granché per le gare di Gigante che facevo io, sicché mi risolsi di cambiarlo con la versione metalloplastica più da disciplina veloce della stessa Marca, denominata Formidable.

Ai cancelletti di partenza, a fine Anni Sessanta-inizio anni Settanta c’erano ai piedi degli atleti almeno tanti sci di marca italiana quanti stranieri (che erano poi essenzialmente i Rossignol francesi seguiti a grande distanza dai connazionali Dynamic, dai Voelkl tedeschi e dai Kneissl austrici): Vittor Tua( nata nel 1914 nelle Valli biellesi) con la collegata Maxel( fra i primi marchi ad usare solo materiale plastico per produrre uno sci) e Freyrie( fondata da Leo Freyrie a Como nel 1922: mitico fu il modello Mirage) erano sicuramente i più gettonati.

Man mano i materiali di costruzioni della struttura tesero ad abbandonare il solo legno a favore di polimeri plastici e metallo e l’industrializzazione moltiplicò le offerte. I grandi investimenti necessari per l’innovazione nel giro di pochi decenni ridussero le marche a poco più di 5 a livello industriale worldwide (con grande spolvero per gli Americani) più qualcuna come la svizzera Stoekli a livello artigianale più locale (con proseguimento dell’uso del legno come cuore di una struttura a sandwich lamellare realizzata a mano).

Vediamo com’è oggi strutturato il mercato degli sci, per marca più usata, nei principali Paesi dell’Europa alpina. Italia: le prime cinque Ditte sono, nell’ordine, Atomic( Austria), Rossignol( fondata a Voiron in Francia da Abel Rossignol nel 1907 ma oggi inserita in un Fondo di Private Equity norvegese), Head( Usa), Voelkl( Germania, fondata in Baviera nel 1932), Blizzard( Austria, parte del Gruppo italiano Tecnica-Nordica ). Francia: Rossignol, Dynastar( Francia, gruppo Rossignol), Voelkl, Salomon( Francia), K2( Usa). Austria: Fischer( Austria), Atomic, Head, Salomon, K2. Germania: Atomic, Voelkl, Head, Fischer, K2.

Mercato “sciovinista” dove l’Italia ha solo più una parte marginalissima.

*Paolo Turati, doc. Economia degli Investimenti

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