lineaitaliapiemonte.it | 11 gennaio 2023, 23:57

Federico, medico ortopedico, se ne va. Nel privato. Quanti ancora?

La storia di Federico, bravo medico ortopedico, dirigente in un ospedale pubblico che si licenzia e va nel privato, è raccontata sulla pagina Facebook del sindacato CIMO medici. Il medico racconta con molta lucidità perchè è arrivato a quella decisione: notti di reperibilità sempre più numerose, al mattino pronto ad operare, sempre in urgenza, solo urgenze, neppure il tempo di stabilizzare il paziente, nessuna possibilità di crescita professionale e al momento delle dimissioni neppure la richiesta di una spiegazione: “Non vali niente, non vieni considerato, e devi erogare, erogare, erogare”. Quante risorse come Federico perderà ancora la sanità pubblica, ovvero noi, i cittadini?

Federico, medico ortopedico, se ne va. Nel privato. Quanti ancora?

La lettera è stata letta nel corso della manifestazione nazionale tenutasi a Piazza SS Apostoli a Roma a metà dicembre, organizzata e promossa dall'intersindacale UNITI PER LA SANITà Le organizzazioni sindacali dei medici, veterinari e dirigenti sanitari Anaao Assomed – CIMO- FESMED (ANPO-ASCOTI – CIMO - C.I.M.O.P. - FESMED) – AAROI-EMAC – @FASSID (AIPAC-AUPI-SIMET-SINAFO-SNR) – Fp Cgil Medici Nazionale E DIRIGENTI SSN – @FVM Federazione Veterinari e MedicI – UIL FPL Nazionale COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE AREE CONTRATTUALI MEDICA, VETERINARIA SANITARIA. E' reperibile sulla pagina facebook di Cimo Medici e racconta, molto semplicemente, quali sono i motivi per cui un medico di riconosciuta competenza lascia il suo lavoro di dirigente in un ospedale pubblico optando per il privato. Il testo, che pubblichiamo di seguito, lascia aperto un interrogativo inquietante: quanti saranno ancora i Federico di cui i cittadini non potranno più usufruire quando si recheranno in un ospedale pubblico?

Il testo della lettera

Federico lavora in un ospedale di provincia, di quelli che a volte ti accolgono come una famiglia generosa, a volte ti abbandonano come un carico pesante. Lui, l’hanno abbandonato.

Federico è un ortopedico, un ottimo ortopedico, di quelli che ti rallegri quando è di turno. È competente e comunicativo. Vive vicino all’ospedale. Ha 47 anni, un figlio. E ieri ha presentato le dimissioni. Ha lasciato un posto di dirigente medico in un ospedale pubblico, a tempo indeterminato, che significa sicurezza e prestigio. Insomma, futuro. Invece lui si è licenziato. Quando lo incontro ha il viso rilassato, come quando oramai hai saltato il burrone che tanto ti spaventava e il salto è roba passata. “Sai - mi racconta - “non avrei mai pensato di potermi dimettere, dall’ospedale dove ambivo lavorare, dal mio lavoro per cui ho studiato, e invece, dovevo fare turni su più ospedali, seguire per un solo giorno pazienti che non avevo operato e che poi non avrei visto più”.

“Le notti in reperibilità erano sempre più numerose. A ogni chiamata un’eterna polemica, anche perché il mattino dopo devi essere presente alle 7.30 per operare. Ero stremato, nel fisico ma soprattutto nel morale”. “Perché non c’è più rispetto” - in che senso? chiedo - “non c’ è più rispetto verso il medico, non vali niente, non vieni considerato, e devi erogare, erogare, erogare. “Ricordo che c’era stata una denuncia per un malato caduto da una barella, finita in nulla. In quel periodo il suo viso era spettrale. “Dovevamo operare quasi solo fratture di femore. Essendo gli interventi monitorati dal programma nazionale esiti, entro 48 ore il paziente va in sala. Anche se a volte sarebbe stato meglio aspettare per stabilizzarlo un po’. Anche se nell’ospedale piccolo in certe ore mancano i consulenti. Via, in sala. Tutte urgenze, solo urgenze. La chirurgia di elezione non esisteva più. E così io non potevo crescere, migliorare le mie competenze”. “Io ho un figlio – continua - che in questi anni ho trascurato, e ho speso più di metà stipendio in babysitter”.

E fuori? “Fuori ho ricevuto molte offerte, mi aspetta un lavoro nel privato che mi consente di fare attività specialistica, potrò formarmi, non faccio notti, insomma mi va bene. Mi va meglio” precisa. Speriamo, penso. Almeno riuscirà finalmente a fare un Natale a casa. “Ma sai la cosa peggiore?” - ancora una cosa peggiore! – “Quando sono andato in Direzione a comunicare la mia decisione non un cenno di dispiacere, di comprensione. Non mi hanno chiesto il perché o cosa si potesse

Redazione