Arte e cultura | 26 ottobre 2020, 11:53

Un secolo di crescite e crolli nel mercato dell’Arte( 1920-2020). Di Paolo Turati*

Torino anche nel mercato dell'arte continua a perdere smalto. Lo dimostra la sempre più sporadica presenza di galleristi di rilievo in città e le tante chiusure. La stessa Artissima, che vanta un certo brand, non vede la presenza delle grandi gallerie mondiali (quelle che espongono opere “straordinarie”). Si può fare di più

Un secolo di crescite e crolli nel mercato dell’Arte( 1920-2020). Di Paolo Turati*

Al di là dei seri momenti recessivi del Mercato dell’arte culminati, nel decennio passato, a Novembre 2009 e a Febbraio 2017, l’attuale fase di profonda crisi “causa Covid”(ma non solo: il Mercato si stava indebolendo da tempo per eccessivo disallineamento fra domanda e offerta dovuta ad una crescita eccessiva dei prezzi dei top lots), di gravità mai vista tanto che il fatturato dei principali operatori (Case d’asta, Fiere d’arte e dealers) nel 2020 si dimezzerà, ci dà la possibilità di riflettere su quelle che erano state le fasi di instabilità del medesimo Mercato dell’arte globale nei cento anni precedenti. Ecco qui di seguito una sintesi dei “momenti di gloria e di disgrazia”, collegati ai principali eventi socioculturali-economico-politici.

1920: boom dell’economia americana mentre in Europa nascono il Bauhaus e il Surrealismo; dal 1926: grande speculazione in Borsa e boom anche del mercato dell’arte (col Moma, ad esempio, fondato a New York proprio nel 1929): “Le Concert” di Matisse, acquistato nel 1926 per 20000 FF, viene emblematicamente venduto nel maggio 1930 per 165000 FF; 18 ottobre 1929: crollo di Wall Street e, dal 1930, “Grande Depressione” e caduta correlata del Mercato dell’arte, dove si registrano diminuzioni dei prezzi dal 60% fino all’80% per quanto, complessivamente, il calo delle quotazioni in arte sia inferiore a quello del mercato azionario; 1940: durante la Seconda guerra mondiale si registra una solida ripresa negli Stati Uniti del mercato degli Impressionisti e pittori moderni, anche a seguito della fuga negli Usa di molti artisti europei tra cui Duchamp, Masson, Ernst e Matta; nascita dell’Action Painting a cavallo del 1950, con un nuovo boom del Mercato dell’arte che registra il suo massimo sviluppo tra il 1954 e il 1961, contestualmente alla crescita dell’Arte informale in Europa; Maggio 1962: crollo a Wall Street seguito nel 1963 dell’assassinio di John Kennedy: crisi del mercato dell’arte a partire dal 1962 con una forte caduta dei settori più speculati (Arte astratta) mentre in parallelo nasce la Pop Art; 1967: svalutazione della sterlina e termine della supremazia artistica francese con definitivo trasferimento del centro del mercato da Parigi a New York; a fine anni Sessanta: nuovo boom del mercato dell’Arte con nascita di Movimenti importanti come il Minimalismo; 1970-1973: crisi energetica con inflazione a due cifre assieme a stagflazione e susseguente crollo del Mercato dell’arte; 1980: primi segni di ripresa del mercato dell’arte con una lieve flessione nel 1981-82; 1984: nuovo boom del Mercato dell’arte; 1988: grandi record alle aste; dalla primavera 1990: inizio di una rilevante flessione con diminuzione del 20-30 % in prezzi e volumi soprattutto dell’arte d’avanguardia; 1997: nuovo boom nelle aste; 2000: andamento ancora in crescita; 2007: raggiunti i valori massimi, soprattutto per l’Arte Contemporanea; 2008: crollo del mercato con i più alti tassi storici di “invenduto” nell’Arte Contemporanea.

Che considerazioni trarre rispetto alla realtà italiana attuale dell’Art Market e, nella fattispecie, a quella torinese? Innanzitutto che l’Italia, col suo 1% del fatturato globale dell’Arte resterà, che vada bene, con fatica al traino delle Nazioni Market makers( Usa, col oltre il 40% e UK e Cina con circa il 20%) con qualche possibilità in più per la piazza di Milano che, a seguito della Brexit, potrebbe diventare una seconda scelta continentale dopo Parigi (che infatti sta crescendo molto in proporzione alla concorrenza), a patto che la normativa, anche fiscale, del settore venga snellita e resa intelligibile (cosa che spesso non è).

Torino pare continuare a perdere smalto senza grosse prospettive. Sempre più sporadica la presenza di galleristi degni di questo nome: l’ultima chiusura di Franco Noero ne è la dimostrazione assieme alla chiusura delle sedi, già da molti anni, di Christie’s e Sotheby’s, la quale ha anche da tempo smesso di esporre anche solo sporadiche preview nella Capitale subalpina. C’è Artissima che vanta un certo brand, ma è una mostra assistita da settore pubblico che dichiara sì molti visitatori (invero con scuole e biglietti omaggio compresi) ma che ha un fatturato sostanzialmente irrilevante (tanto che nessuna delle grandi Gallerie mondiali, quelle in grado di esporre opere d’Arte “trainanti” straordinarie anche del valore di decine di milioni di Euro, ci mette piede) e una ricaduta territoriale al massimo di due o tre milioni di Euro, come dagli ultimi dati elaborati dalla Camera di Commercio. Tanto per fare un esempio, Art Basel Miami, che si tiene normalmente poche settimane dopo Artissima, espone opere per 4-5 miliardi di Dollari e la ricaduta sul territorio in base alle stime supera i cento milioni. Modesto, anche in fase pre-covid, il livello delle poche Mostre in programma, con tutti i 3 Musei civici della città (escludiamo ovviamente il Museo Egizio, il Museo del Cinema e la Reggia di Venaria, che sono altra cosa, ed i Musei Reali, che hanno un’attività “core” diversa) messi assieme (Gam, Mao e Palazzo Madama) che sbigliettano 600 mila tickets come il solo Mudec di Milano nel 2018. Si vede chiaramente che manca una regia competente.

*Paolo Turati, doc. Economia degli Investimenti